Il Pachi se n'è andato il 1 maggio del 2001.
Fino all'autunno inoltrato andai spessissimo a Firenze a lavorare al riordino delle sue cose. Non riesco a capire, adesso, come mi sia stato possibile farlo. Ma il dolore ha i suoi percorsi carsici, e la cura bisogna inventarsela provando e rischiando gli effetti collaterali. Io in quel periodo non riuscivo a stare lontana da Firenze, e non mi era tollerabile il pensiero che a mettere le mani nelle sue cose fosse qualcuno che non le conosceva a fondo, che le maneggiasse senza riguardo. Mi sembrava una violazione di intimità che pativo profondamente. Ma quando ero là, anche se in qualche modo mi dava sollievo poter stare ancora accanto a lui, nella sua atmosfera, mi sentivo ancora peggio. Durò a lungo; sacco dopo sacco la casa si vuotava e i reperti venivano ordinati e classificati, finché un giorno in pieno inverno vennero gli amici e si portarono via quello che restava dei suoi libri. Fu una giornata terribile. L'ultima. Mi portai via, avvolta in un giornale, una pianticella di fico grande un palmo che era spuntata in una crepa del balcone su piazza Ghiberti. Volevo qualcosa di vivo, che potesse crescere e non morire. Non che ci sia bisogno di questo per coltivare il ricordo di una persona che è con me ogni giorno. Ma mi consolava un po'.
Il fico ha sette anni. Due anni fa ha fatto cinque fichi. L'anno scorso l'ho rinvasato e ne ha fatto solo uno, probabilmente perché era molto occupato a mettere fogliame e crescere, ora che aveva un vaso più grande. Quest'inverno l'ho potato, e non mi aspetto raccolto. Sta venendo su un po' contorto ma sano e vigoroso.
Ciao Mario. Spero che ti faccia piacere.